Dodici lettere, la prima è A

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Stavo pensando di copiaincollare anch'io il monologo di Scurati; ma ho aspettato qualche ora e nel frattempo è rimbalzato in lungo e in largo. Anche se resta l'impressione che una volta in più il dibattito sia fuori fuoco, che si parli più del tentativo di censura (maldestro, come tutto quello che fa questo governo) che di quello che Scurati ci stava dicendo. 

Scurati ci sta dicendo che Matteotti fu ucciso dai fascisti, e sembra scontato; che Mussolini ne fu il mandante, e crediamo che sia un dato acquisito; che fu complice attivo di tutto l'orrore nazista, e che la cricca al governo queste cose fa proprio fatica ad ammetterle. Il che lo stesso Scurati ha potuto dimostrare proprio in questa occasione; forse è dai tempi di Galileo che a uno scrittore italiano non riusciva così rapidamente un esperimento.  

Scurati scrive: "Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell'ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via". Questa cosa forse ormai è più curiosa che importante; ma resta parecchio curiosa. Pensate a quante cose aa Meloni ha dovuto rinnegare per montare sulla seggiola dov'è adesso. Parlava di uscire dall'Euro, e ora fa carte false per ottenere i fondi UE. Faceva l'occhiolino a Putin, e ora è sdraiata sulla linea della Nato. Poi, certo, su tante cose è coerente; ma il sospetto è che se i sondaggi le dicessero che gli italiani vogliono più forza lavoro dai Paesi in via di Sviluppo, lei andrebbe ad abbracciare i migranti sulle spiagge, è fatta così. Non dico che rinnegherebbe sua madre, o perlomeno non riesco a immaginare una situazione in cui rinnegare sua madre potrebbe darle un vantaggio. Di parole ne ha dette tante, tutti ne dicono tante, ma ce n'è una sola che non riesce a pronunciare anche se le converrebbe da tutti i punti di vista, e quella parola è A....

An.....

Antifa....

Niente, non ce la farà. Tizi apparentemente più scafati di lei ce la fecero; bisogna anche ammettere che sulla seggiola ci si è seduta lei, e non loro. 


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Alla presidente dei post-servi

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L'Italia ha sospeso i fondi a Gaza,
tu no. 

Presidente Giorgia Meloni,

devo confessare che avevo basse aspettative, e tuttavia.

Da un tweet del suo ministro degli esteri di venerdì scorso (venerdì scorso!) scopro che l'Italia non sta più assolvendo ai suoi doveri di solidarietà nei confronti della popolazione palestinese – gli aiuti all'UNRWA sono "congelati" non si sa bene da quando, forse da cento giorni. Nel frattempo la striscia di Gaza è stata quasi completamente rasa al suolo: le vittime dei bombardamenti e dei combattimenti sono più di ventimila, in gran parte civili (lo stesso esercito israeliano riconosce che Hamas è ancora operativo). Intere famiglie sono state spazzate via dalla guerra; gli israeliani ostacolano l'accesso di aiuti alimentari e sanitari a Gaza e venerdì abbiamo scoperto che comunque tra quegli aiuti nulla più viene dall'Italia.


Il blocco degli aiuti quindi sarebbe persino precedente al cosiddetto scandalo UNRWA, ovvero alla scoperta che alcuni dipendenti UNRWA avrebbero collaborato agli eccidi di Hamas del 7 ottobre scorso; il che sarebbe gravissimo se si potesse dimostrare. Senz'altro ci tiene molto il governo israeliano: probabilmente è un modo per spostare l'attenzione dalla sentenza preliminare della Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja, che rappresenta già una severa censura del comportamento assunto dall'esercito israeliano in questi mesi nei confronti della popolazione civile della Striscia. Ma prendendo anche per vero quel che avrebbero confessato dodici dipendenti su tredicimila (interrogati dall'intelligence israeliana e dallo Shin Bet); considerata la penetrazione capillare di Hamas nella società gazawi, un numero così esiguo di sospettati è quasi un'indiretta conferma dell'autonomia dell'UNRWA rispetto ad Hamas.

Insomma qualsiasi governo sovrano attenderebbe prima di prendere per fondate le accuse mosse da Israele all'UNRWA, ma per il nostro governo il problema non si pone: a quanto pare i fondi li avevamo sospesi già, molto prima che qualche nostro importante alleato ci imponesse di farlo. O forse ce l'hanno imposto prima, come fanno i padroni ai servi un po' rintronati e noi questo siamo evidentemente, presidente. Altri governi, in queste ore, stanno mostrando un atteggiamento meno servile e più consono alle rappresentanze democratiche di Paesi sovrani: la Spagna, l'Irlanda, non stanno sospendendo gli aiuti, nemmeno la Scozia: noi sì. 

Presidente Meloni: il sospetto di essere cittadino di un Paese che non stava facendo praticamente nulla per evitare un genocidio lo nutrivo anche prima di venerdì; ma non immaginavo in che misura lei, in che misura noi fossimo già complici. Il nostro sostegno a Israele, mai così esplicito, è un incoraggiamento a proseguire nella direzione in cui sta andando, e la direzione in cui sta andando non è solo quella di una catastrofe umanitaria nella Striscia di Gaza. È anche un disastro morale per Israele, e per la complessa e struggente storia che rappresenta.   

Presidente Meloni, so che senza essersi mai definita fascista, non è mai nemmeno riuscita a dichiararsi antifascista – nemmeno adesso che ormai ha vinto tutto quello che poteva vincere, e nessuno può più scavalcarla: nemmeno adesso. E va bene. I fascisti si sa, facevano i gradassi in tempo di pace; quando scoppia la guerra annusavano il vento per capire dove stesse passando il sedere del più forte, e lì si attaccavano. Lei in teoria non fa così, lei è post. 

Io, l'avrà capito, non ho nessun rispetto per il partito che lei dirige, per la storia che c'è dietro, per il suo Almirante e il suo Berlusconi. Il giorno in cui ha vinto le elezioni è per me uno dei momenti più bui della storia della Repubblica. E però anche in quel momento mi restava la curiosità: cos'avrebbe fatto una gregaria di formazione, nel momento in cui saliva sul gradino più alto? Avrebbe forse scoperto la sua personalità, svelato finalmente un pensiero autonomo, qualcosa di simile a una volontà propria? Quanto meno me l'auguravo, sarebbe stata una bella sorpresa per tutti. E invece non c'è niente da fare: eccola al postservizio dei primi che le hanno mostrato i muscoli. 

Io non sono veramente nessuno e questo mio sfogo non è un granché, ma confesso che mi piacerebbe che le mie parole in un qualche modo si scavassero un sentiero tra la selva retorica che la circonda, e la pungessero in una qualche regione dove altre persone hanno una coscienza. Lei i palestinesi li conosce, è stata a Betlemme; quando Renzi era al governo chiedeva i Due Stati per Due Popoli: ora vede un popolo affamare l'altro e gli dà una mano. E quando al prossimo comizio ciancerà di orgoglio nazionale, di sovranità e di altre sciocchezze, lo so che è impossibile, ma vorrei che un poco si vergognasse, sarebbe ora: per lei e per noi. Postservi, non siamo altro che postservi: il postpadrone ordina e lei ha già eseguito. 

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Il Ponte sullo Stretto è un fake (almeno su facebook)

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A proposito del Ponte sullo Stretto, la cui erezione ormai è imminente (non sto nella pelle), non avrei nulla da aggiungere a quel poco che ho scritto: senonché ho trovato una di quelle immagini che valgono davvero le proverbiali mille parole. Eccola qui dalla pagina Facebook di cui tutti stanno parlando: Ponte sullo Stretto di Messina.


Chissà se l'hanno fatta con un'AI – perché sembra più una fiaccolata che un'insurrezione – d'altro canto parliamo di una pagina amatoriale, mica si può pretendere una qualità professionale. In ogni caso mi sembra che il senso sia chiaro: gli italiani che stravedono per le grandi opere all'estero, appena si prova a farne una in Italia si mettono a protestare, maledetti provinciali. Ora, questo in generale potrebbe anche essere vero.

Ma nel caso del Ponte è una sciocchezza.

È esattamente la sciocchezza che cercavo di spiegare un anno fa, ma davvero non l'ho mai trovata esposta con tanta sfacciata chiarezza come nei meme di questa pagina Facebook. Una sciocchezza che è una specie di tappa obbligata per chiunque voglia sostenere non solo che il ponte sullo Stretto è fattibile, ma lo è in virtù del progetto approvato da un governo Berlusconi ormai vent'anni fa. Ma se quel progetto fu approvato, perché il ponte non c'è? In fin dei conti di governi Berlusconi ce ne fu più d'uno, e a parole erano tutti assolutamente convinti che il Ponte bisognava farlo, e bisognava farlo con quel progetto. 

Ciononostante il ponte non si è fatto. Perché?

Perché gli italiani non lo vogliono! Maledetti ingrati! Li vedete nella seconda immagine, con le fiaccole, pardon, torce? Non lo accettano proprio! Si mettono di traverso, lo boicottano, votano partiti antiponte, è una vergogna. Per fortuna che ci sono coraggiose pagine facebook amatoriali come Ponte sullo Stretto di Messina, che cercano di cambiare questo atteggiamento pubblicando informazioni assolutamente non di parte e simpatici meme come questo. Certo. 

Salvo che appunto, è una sciocchezza.

Non esistono italiani con le torce che non vogliono il ponte sullo Stretto. Ok, qualche manifestazione c'è stata, ma nulla di paragonabile all'esempio che tutti hanno in mente: i No Tav della Val di Susa. Quelli esistono e combattono contro un progetto concreto con pratiche di lotta a volte altrettanto concrete, da trent'anni e più. Non è difficile dimostrare come la loro ostilità abbia realmente rallentato la realizzazione di un'opera che (a differenza del Ponte) era considerata prioritaria dalla UE. Per contro, un movimento No Ponte, se pure esiste, è stato fin qui marginale; non ha bloccato nessun cantiere anche perché fin qui non c'è stato nulla da bloccare. Il fatto che po' di italiani, come me, manifestino un cauto scetticismo ogni volta che un governante tira fuori il Ponte non ha mai realmente impedito a nessun governante di fare il Ponte. Se il Ponte non si è fatto comunque, è stato per altri motivi: il primo che mi viene in mente è che forse non esisteva ancora la tecnologia per realizzarlo in sicurezza, ma può darsi che io sia il solito malfidato. Comunque no, gli "italiani" non seguono il dibattito sul Ponte con le torce in mano: siamo lì in attesa tranquilli, un po' scettici, che chi ha promesso più volte castelli in aria ce li costruisca. Siccome abbiamo pagato (e continuiamo a pagare), sarebbe il minimo.




***

La pagina Ponte sullo Stretto di Messina non esiste da molto – mi sembra di essermela trovata per la prima volta in bacheca l'estate scorsa. Faccio fatica a ricordarmi con precisione perché come molte pagine facebook, vive in un eterno presente: scrive più o meno sempre le stesse cose, con infinite variazioni minimali sullo stesso tema. Ogni post che pubblica contiene quasi tutte le informazioni fondamentali (il progetto del ponte è ottimo, ce lo copiano all'estero, se all'estero li fanno e qui da noi no è colpa di voi miscredenti), per cui letto il primo, li hai letti quasi tutti. Pubblicare un contenuto al giorno è già complicato in generale, figuratevi per qualcuno che ha deciso che ogni giorno scriverà più o meno la stessa cosa su un Ponte che per ora nemmeno esiste. Per cui a volte ai redattori non resta che attaccarsi ai commentatori ostili, come i cani che fanno chiasso intorno alla loro coda; rispondiamo a Caio73 che dice che una campata così lunga non può reggere il vento, ebbene no, il Messina Type Deck ha già dimostrato di reggere a tot venti alla tale velocità, bla bla, io non è che possa fingere più di tanto di capire cosa stanno dicendo, non sono un ingegnere. 

Sono un povero prof di geografia, per cui almeno una volta li ho beccati a scrivere un'imprecisione geografica (i giapponesi non avevano voluto mettere la ferrovia nell'Akashi perché non ne avevano bisogno). A giudicare dalla quantità dei traghetti nella stessa zona, è difficile credere a una cosa del genere. È molto più probabile che i progettisti non abbiano inserito la ferrovia perché non era sicura, del resto durante la costruzione un terremoto spostò i pilastri di quasi un centimetro. L'Akashi, ricordo, è stato per più di vent'anni il ponte a campata unica più lungo del mondo, e la campata in questione non arrivava a 2000 metri, mentre per arrivare dalla Calabria alla Sicilia ne servono 3000: è vero che l'ingegneria fa progressi, ma per vent'anni non ne ha più concretamente fatti. Poi l'anno scorso finalmente un ponte sui Dardanelli ha sorpassato il record dell'Akashi: di 32 metri. Il ponte sullo Stretto dovrebbe superarlo di altri mille. A questo punto di solito qualcuno obietta che siamo andati sulla Luna, il che è fantastico, però ci abbiamo messo tanti tentativi, abbiamo speso tanti soldi, dopodiché non è che siamo andati subito su Marte: i progressi tecnologici non si possono dare per scontati. Tra l'altro di che progressi tecnologici stiamo parlando, se il progetto per il Ponte continua a essere quello di vent'anni fa? Forse nel frattempo davvero unire Calabria e Sicilia potrebbe essere diventato ingegneristicamente più facile, ma il progetto rimane lo stesso, perché? La pagina Ponte sullo Stretto non spiega il perché. 



Una spiegazione l'ha proposta Report nella puntata della scorsa settimana: il progetto deve rimanere lo stesso perché è quello di Webuild (ex Impregilo). Salvini l'ha imposto per decreto: se si volesse cambiare il progetto, bisognerebbe fare una gara, ma se si facesse una gara, siamo sicuri che Webuild la vincerebbe? Evidentemente Salvini non ne è sicuro; ma Webuild non è che può essere messa alla porta, c'è ancora in corso una lunga vertenza giudiziaria, ci sarebbero penali miliardarie da pagare, tanto vale farle costruire il ponte, e poi chi vivrà vedrà. È una conclusione a cui arrivano quasi tutti quelli che stanno un po' nella stanza dei bottoni, compresi quelli che anni prima avevano criticato il ponte: Salvini, Renzi (i grillini no, ma forse non hanno avuto il tempo). Si vede che Webuild in quella stanza possiede un bottone più grosso di altri.

Sul piano della comunicazione, viceversa, c'è ancora qualcosa che si può migliorare. Dopo la puntata di Report, la pagina indipendente Ponte sullo Stretto ha subito pubblicato un post sugli errori di Report. Report di errori ne fa spesso, però sono professionisti: non è che che lanci l'amo e loro tirano fuori la lingua. Ci hanno messo pochi minuti a notare che il contenuto della pagina indipendente Ponte sullo Stretto era stato rapidamente diramato a tutti gli organi di stampa, e da chi? Da un PR di Webuild. "Una pagina Facebook indipendente con alle spalle un’agenzia di comunicazione internazionale?" Ma chi l'avrebbe detto mai! Sembrava così amatoriale...

Attaccare Report non è un gesto senza conseguenze. Nel giro di qualche ora la pagina è stata sospesa da Facebook, probabilmente per eccesso di segnalazioni. Poi è tornata on line; nel frattempo Report aggiungeva un poscritto al suo comunicato: "Dalle prime verifiche effettuate risulta che SEC & Partners si è limitata a segnalare un articolo, reperito nel web, che fornisce informazioni sull’opera, ma che non ha, né ha mai avuto, alcun rapporto con la pagina Facebook “Ponte sullo Stretto di Messina”, come gli stessi amministratori della pagina hanno peraltro già dichiarato con un post successivo". E noi ci crediamo. Perché no? Se dobbiamo credere che vent'anni fa esistesse un progetto per una campata unica che in un colpo solo superava del 50% il record mondiale, un ponte all'avanguardia che non è stato realizzato malgrado gli sforzi dei governanti, dei lobbisti e dei costruttori, a causa del maledetto provincialismo italico, perché non dovremmo credere che un paio di ragazzi abbiano deciso di passare il tempo a scrivere ogni giorno un contenuto a favore del Ponte sullo Stretto, su una pagina Fb che si chiama Ponte sullo Stretto? Chi di voi, avendo studiato ingegneria e quel tipo di cose, non amerebbe passare il tempo a scrivere più o meno le stesse cose su un ponte che nel frattempo nessuno sta costruendo? io non so davvero perché invece mi sono messo a scrivere di canzoni dei Beatles, o santi del calendario, quando avrei potuto divertirmi molto di più scrivendo tutti i giorni che i più lunghi ponti del mondo sono tutti "Messina Type". 




Scrivono proprio così: dovete infatti sapere che William Brown, l'ingegnere che concepì l'ambizioso progetto che Salvini ha deciso di riprendere senza cambiare uno strallo, ebbene in quell'occasione avrebbe disegnato un avveniristico impalcato aerodinamico che da quel momento sarebbe stato usato in tanti altri megaponti, e che viene generalmente chiamato Messina Type Deck, l'impalcato tipo Messina. Vi rendete conto? Il ponte sui Dardanelli ha il Messina Type Deck; il ponte di Xihoumen ha il Messina Type Deck: starebbero tutti copiando un ponte che non esiste, e ricordo che non esiste esclusivamente a causa dello scetticismo oscurantista di noi poveri italiani. Non ci credete? Googlate, bingate Messina Type Deck...

...ops, troverete solo comunicazioni della Webuild. O della pagina Ponte sullo Stretto. Curiosissima coincidenza. Su queste pagine c'è scritto che il ponte sui Dardanelli ha il Messina Type Deck, il che non è improbabile visto che al progetto collaborò lo stesso Brown; ma per ora non ci sono pagine in turco che citino il Messina Type Deck riferendosi al ponte sui Dardanelli (o pagine in cinese che citino il Messina Type Deck riferendosi al ponte di Xihoumen). Anzi Bing dice proprio che l'impalcato di questi due ponti è diverso, ma non mi fido molto di quello che dice Bing. E non sono un ingegnere, ricordo: per cui non ho motivo di dubitare che l'impalcato di questi lunghissimi ponti ricordi, o sia ispirato, al progetto del Ponte sullo Stretto. 

Sono però un comunicatore, magari amatoriale, ma in tanti anni qualcosa l'ho capito, e credo di poter concludere che l'espressione "Messina Type Deck" è tipica della comunicazione corporate di Webuild. È una cosa che usano soltanto loro, con una piccola, stranissima eccezione: la pagina Facebook Ponte sullo Stretto di Messina. Che però dice di essere una pagina indipendente. Non credo che potrò mai dimostrare il contrario. Nemmeno ci provo. 

Resto così, scettico, con la mia fiaccola in mano, a domandarmi: ma se il progetto era così buono, perché il ponte non l'hanno già fatto? E perché hanno bisogno di convincerci in questi modi così contorti? E se davvero la pagina facebook è indipendente, perché non c'è verso di capire chi la gestisce? Davvero: non c'è scritto da nessuna parte. Dicono che sono indipendenti, e non dicono chi sono. Magari ho cercato male, purtroppo anch'io sono un amatore, non è che posso stare tutta la notta a googlare. Ma credo che il modo migliore per convincere i propri detrattori, e anche i propri follower, sarebbe metterci la faccia. Eccoci, ci chiamiamo così e così, siamo laureati in ingegneria qui e qui, non abbiamo conflitti di interesse, eccetera eccetera. Ci vorrebbe così poco. Io mi chiamo Leonardo Tondelli, insegno italiano storia e geografia, non ho mai lavorato per la Webuild, vedete? Bastano due righe. Anche una sola. 
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Femminicidi ne avremo sempre

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Istat.it

– Dopo anni che parliamo di populismo, rinfacciandocelo a vicenda, proviamo a essere più precisi: usare i fatti di cronaca per imporre determinate priorità è populismo attivo (ad es.: vuoi imporre un inasprimento dei controlli e ti inventi un'emergenza rave). Lasciare viceversa che i fatti di cronaca dettino le priorità è populismo passivo. Il primo lo puoi fare se controlli i media, o se sei controllato dalla stessa proprietà che controlla gran parte dei media. Il secondo lo fai se ormai stai nell'angolino e l'unico modo per farti sentire fuori dal ghetto è combattere le battaglie che gli altri vogliano che tu combatta; ovviamente le perdi, o se le vinci, altri se ne prenderanno il merito (la Schlein chiede l'ora di educazione affettiva; aa Meloni ce la darà, ringrazieranno aa Meloni).

– I fatti di cronaca sono emergenze percepite. Un cane morsica un bambino e improvvisamente è emergenza cani mordaci. Non significa che non possa veramente esserci una recrudescenza di morsicamenti, ma è un'evenienza irrelata; i media semplicemente registrano che i bambini morsicati funzionano, e si mettono a cercare altre notizie simili. C'è un'emergenza femminicidio in Italia? Statisticamente si fa una certa fatica a dirlo. Quel che è sicuro è che a ogni femminicidio esplode un boato di reazioni che ci coinvolge tutti per diversi giorni, e questo ai media indubbiamente interessa. Si stringe ogni volta un'alleanza sempre meno precaria tra femminismo e cronaca nera; per un po' sembra che parlino degli stessi contenuti e con la stessa retorica. 

– Capisco che nessun professionista della politica oggi possa ignorare i fatti di cronaca nera, e rifiutarsi di cavalcarne l'ondata quando arriva – anche perché l'alternativa sarebbe lasciarsi travolgerne. Credo ugualmente che la differenza tra populismo e politica sia la capacità di distinguere tra singoli fatti di cronaca ed emergenze sociali. Lo strumento che ci consente di percepire le emergenze è la statistica, e la statistica parte ovviamente dal conteggio dei singoli episodi. Ma per essere una buona statistica, deve raccoglierne tanti, il più possibile; mentre se lavora su campioni ridotti, rischia più facilmente di essere una statistica tendenziosa e cattiva. Se per assurdo riduciamo il campione a un singolo fatto, la statistica non ci dice più niente. Ovvero: il singolo fatto di cronaca ha un significato politico tendente allo zero. Di fronte al singolo fatto di cronaca, i politici dovrebbero alzare le mani come i fisici quantistici al cospetto di una singola particella.

Istat.it

– I fatti di cronaca, quando sono tragici, possono ispirare arte e letteratura e colpirci con la stessa forza anche ad anni di distanza. Ma restano fatti di cronaca, episodi isolati in cui il caso gioca un ruolo importante. Se una farfalla non avesse battuto le ali quella sera Giulia Cecchettin forse non sarebbe uscita con l'ex, oggi sarebbe viva, noi non la conosceremmo, e la questione della violenza di genere sarebbe ugualmente grave. Possiamo non darci pace al pensiero, possiamo continuare a domandarci perché è successo quello che è successo, ma non lo sapremo mai, perché nessuno strumento può darci la risposta a un singolo perché. Possiamo senz'altro piangere, chi vuole può pregare. Ma dovremmo resistere all'impulso di fare politica in quel momento: formare un involucro di rispetto, di raccoglimento, che sospenda il dibattito, anche solo per quel paio di giorni necessario a evitare che il lutto dei famigliari diventi un video virale, che sui social si scateni la gara tra prefiche professioniste e aspiranti tali; che ideologi laici scoprano senza neanche accorgersene le proprietà purificatrici dell'esame di coscienza e propongano a tutti i maschi di confessare i peccati di pensiero o di omissione, che i professionisti della politica sentano la necessità di proporre soluzioni rapide e risolutive. Anche perché...

– Nel 90% dei casi queste soluzioni rapide e risolutive prevedono un intervento della scuola, l'unica entità del resto che si possa prestare a qualsiasi intervento a costo zero. Insomma cosa insegni tu oggi, geografia? matematica, storia dell'arte? Nessun problema, facciamo un consiglio di classe straordinario, scriviamo un "progetto" e tra una settimana comincerai con tutta la tua competenza e professionalità a spiegare ai ragazzi come non femminicidiare quando sei grande. Funzionerà senz'altro, perché "farà media", mica come le prove Invalsi. Ora, mi dispiace contraddire tra l'altro una delle artiste viventi che più ammiro al mondo, ma è una cazzata. L'educazione all'affettività la facciamo già, gli interventi con gli psicologi li facciamo già, possiamo farne di più, ma dare i voti su queste cose significa invitare i ragazzini a perfezionare eventuali atteggiamenti manipolatori. È davvero così difficile capire che i ragazzi, a scuola, tendono a restituire agli insegnanti quello che gli insegnanti si aspettano da loro? Se propongo loro di scrivere, ad esempio un racconto dell'orrore (dopo avergli mostrato una serie di strumenti per scriverli), essi cercheranno di scrivere il racconto dell'orrore che spaventi il loro insegnante. Se gli chiedo di farmi un tema su quanto è sbagliato picchiare le donne, loro ne scriveranno di bellissimi che mi commuoveranno. Questo significa che abbiano acquisito una maggiore maturità emotiva? No, significa semplicemente che hanno capito come si commuove un prof di mezza età con un po' di retorica, in questo caso femminista, poi magari scoppia una guerra e tutti a scrivere temi su quanto è bella la pace. Alcuni di loro magari ci prendono gusto e poi da grandi useranno le competenze acquisite per manipolare famigliari e amanti. L'educazione affettiva si fa in altri modi; non pretendo di conoscerli, ma credo che un passaggio fondamentale la scuola italiana lo abbia capito già tanti anni fa, ed è quello di mettere coetanei e coetanee di fianco, sugli stessi banchi. Questa coabitazione funziona meglio di centinaia di lezioni teoriche su quanto è sbagliato picchiare le ragazze; non a caso è uno degli aspetti della scuola pubblica che ogni tanto qualche riformatore vorrebbe superare perché in effetti, sì, le classi monosex da un punto di vista meramente formativo sono più efficienti. 

– Ma se a scuola facciamo già tante cose, perché il numero dei femminicidi non cala? Beh, un po' cala. Sì, ma non abbastanza: ovvero, meno di quanto calano gli altri omicidi. L'emergenza sarebbe questa. Allora, io non so il perché. Ho qualche esperienza, ma non abbastanza da montare in cattedra. So quanto fosse facile, in passato, assumere atteggiamenti che oggi riteniamo abusanti e che quando ero giovane io (non tantissimo tempo fa) erano normalissime scenate di gelosia. Ricordo che a vent'anni la rottura di una relazione comportava una sofferenza che nessuno mi aveva educato a gestire, e che portava anche individui sostanzialmente inoffensivi come me a gesti di idiozia inconcepibile, cose per le quali proverò vergogna finché campo – ormai posso dirlo, visto che a trent'anni di distanza la vergogna non si è nemmeno dimezzata. Ma che a muovere i miei passi in quei momenti fosse il Patriarcato, ebbene no, non riesco a dirlo. Quel che mi schiantava era piuttosto che il Patriarcato non funzionasse più, che le ragazze si sentissero già in diritto di sganciarmi senza che io potessi far valere nessun argomento. Può darsi che il numero di femminicidi non si stia abbassando proprio perché c'è una lotta in corso. Sarà ancora molto lunga e non ho grandi idee su come combatterla; esami di coscienza collettivi non mi sembrano così efficaci; bei voti a chi scrive No Alla Violenza credo siano ancora meno efficaci. Dipende anche da cosa ci aspettiamo dalla vittoria: la riduzione a zero dei femminicidi? Non succederà mai, i fatti di cronaca ci saranno sempre e ci faranno piangere sempre. Di nessuno sospettate come di chi propone di eliminarli all'improvviso.  

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Io sciopero quanto posso, finché posso, perché posso

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Domani venerdì 17 novembre, sarebbe stato difficile trovare una data più lugubre ma la scaramanzia rovina solo chi ci crede, io sciopero per otto ore, e spero anche voi. Magari qualcuno è curioso del perché, ebbene: io sciopero perché posso. È un mio diritto, ne approfitto. Potremmo anche finirla qui. Invece no, andò avanti: a questo servivano i blog, ad andare avanti fino a esaurimento della pazienza dei lettori. Domani sciopero perché:

– Scioperano le scuole e io ci lavoro, e sono stanco di sentirmi ogni giorno più povero mentre cercano di vendermi tablet e lavagne interattive (per quelle i soldi ci sono sempre) e mi tagliano le cattedre, i sostegni, i fondi per le supplenze brevi, tutte quelle cose che mi consentirebbero di fare davvero il mio mestiere e non passare il tempo a tappare i buchi dei tappi precedenti. Ma a parte questo:

– Sciopera il settore scuola, il mio comparto, ed è da anni che io me la prendo coi miei colleghi perché non scioperano abbastanza o aderiscono a scioperi civetta, scioperi ballerini promossi da sigle fantasma, scioperi farsa. Questo è uno sciopero compatto, promosso dalle principali sigle sindacali, e tiriamo una tendina pietosa sulla cosiddetta Cisl. Ma a parte questo:

Sciopera il mio sindacato, che non è immune da difetti ed errori e in tanti anni ne ha commessi tanti, ma è ancora il mio sindacato e io mi fido. Ma a parte questo: 

– Non mi piace la finanziaria del governo, anche se devo ammettere che poteva andare molto peggio, vista la feccia da cui provengono. No, chiedo scusa, non dovrei parlare in questi termini. "Provengono" implica che a un certo punto se ne siano andati e invece no, io questo governo continuo a vederlo galleggiare nella feccia. Dopodiché da gente di così pochi scrupoli, di scarsa nulla dirittura morale e di risibile cultura potevo anche immaginarmi una finanziaria più genuflessa ai padroni, e tuttavia non sarò io a tendere una mano a codesta gente, non è così che funziona la democrazia, finché c'è. Io la mano devo già tenderla agli ex grillini, credete non mi costi? Se voi volete aiutare aa Meloni e la sua corte dei miracoli, prego. Io sciopero. È un mio diritto. Ma a parte questo:

– Questa cosa di esser nato nell'unico Paese in Europa dove più o meno da quando mi sono messo a lavorare non è mai cresciuto il salario medio, capisco che non dipenda da un solo fattore ma da un complesso insieme di fattori, ma ugualmente non mi va più di tanto giù. E a proposito:

– Questa cosa che probabilmente non andrò mai in pensione, perché la dovrei prendere così sportivamente? Va bene, in pensione non avrò mai il diritto di andarci, ma di scioperare sì. E inoltre:

– Salvini si è molto arrabbiato e sta precettando alla cazzo; ora ditemi che questo non fa venire voglia di scioperare anche a voi? Io ne avevo già, di sicuro non me la stanno facendo passare. Ma più in generale:

– Quella storia del premierato, ora io lo so che probabilmente non ce la faranno neanche stavolta, visto che sono più sgarrupati del solito (ma lo stesso mi fa paura); lo so che rispetto a quegli improvvisati dei renziani almeno Meloni & co. sono coerenti, il desiderio di oltrepassare il parlamentarismo è una loro costante sin dal 1919; lo so che gli scioperi non sono lo strumento tecnicamente più preciso per protestare contro una riforma costituzionale; e però qui abbiamo già al governo gente che non sa cos'è il diritto allo sciopero: vogliamo anche dargli il premierato, e poi cosa? In attesa che salgano al balcone a spiegarci gli imperativi categorici e con chi belligereremo l'anno prossimo, io sciopero: giusto per ricordare a lorsignori che è un diritto, e che se vogliono togliermelo serviranno come minimo mazzate. E quindi, in definitiva:

– Io sciopero perché posso, davvero. Ho la sensazione che qualcuno questa cosa non la capisca, e non è la prima volta che gliela provano a spiegare. C'è una specie di analfabetismo selettivissimo che coinvolge gente che sui social e in tv ti spiega l'economia, ti spiega il mondo del lavoro, ti spiega la qualunque e poi al primo sciopero casca dal pero, non ne ha mai sentito parlare, è convinto che non sia un diritto, tra le altre cose ignora il concetto di riduzione del trattamento economico, di trattenuta insomma. Credono che siamo come i ragazzini che saltano scuola a gratis, ebbene no, no, no. Se questo fosse l'unico motivo per scioperare, sarebbe comunque un ottimo motivo: io sciopero perché me lo posso permettere, lavoro, produco, guadagno e sciopero, capito? E se non lo hai capito, chi ti ha venduto la laurea ti ha fregato, furbacchione. Certo, questo implica anche che:

– Io sciopero perché sono un privilegiato. Altri non se lo possono permettere. Non lavorano, o non lavorano e guadagnano abbastanza, e quindi non possono. Precisamente. E io sciopero anche per loro. Per quel che posso, finché posso, siccome posso, io sciopero. Spero anche voi. 

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Siamo tutti Salvini (e sprofondiamo)

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Che Salvini troppo spesso twitti prima di pensare non lo scopriamo oggi – certo, un ministro che riesce a mettere insieme il Milan e una calamità naturale nello stesso messaggino segna comunque un record, qualcosa che vale la pena appuntarsi, anche solo per evitare che i posteri liquidino l'episodio come una leggenda: no, Maria Antonietta non disse mai quella cosa delle brioches ma sì, Salvini disse quella cosa del Milan. 

E potremmo andare avanti ancora un poco a prendercela con lui. Certo, potrebbe essere interpretato come un espediente per distogliere l'attenzione dalle responsabilità di una classe dirigente locale e sul suo ormai ottantennale modello di sviluppo, che in soldoni consisteva nel cementificare una palude sperando che andasse tutto bene. Non andrà tutto bene. Facile dirlo oggi – ma si poteva dire con una certa sicurezza vent'anni fa, e c'è invece ancora chi non vuole ammetterlo. Del resto in Emilia-Romagna lo sappiamo, sensibilità green e speculazione sui lotti edificabili vanno a braccetto, e Salvini non c'entra un granché: parliamo dell'avvoltoio che viene a vedere se nella catastrofe c'è qualcosa da guadagnarci, non dell'istrice che la catastrofe l'ha pazientemente scavata. 

Siccome comunque Salvini la gogna se la merita (non fosse altro perché dopo una settimana di alluvioni il governo non ha ancora varato lo stato di emergenza), propongo di farne almeno una figura sacrificale; di riconoscere nella sua colpa quella di tutti noi. Siamo tutti Salvini – certo, nessuno è Salvini quanto lui, ma siamo tutti un po' Salvini, ogni volta che commentiamo il disastro del giorno con una botta di benpensantismo e un colpetto di benaltrismo. Siamo tutti Salvini, sempre alla ricerca del primo facile colpevole, anche se non ci crediamo neanche noi: ma abbiamo un profilo pubblico, insomma non possiamo mica far finta di niente anche se non abbiamo niente da dire; vogliamo semplicemente far notare che ci siamo, ci preoccupiamo, invece di pensare ai fatti nostri o al Milan.  

Siamo tutti Salvini, nel senso che l'apocalisse ci troverà in mutande sul divano e contrariati perché insomma, certo, il settimo sigillo e i quattro cavalieri e tutto il resto, ma noi volevamo sapere chi vinceva la Champions. Siamo spettatori, da che siamo nati; da quando c'è internet siamo pure commentatori; di qualsiasi cosa succeda ci piacerebbe trovare un colpevole alla svelta, che sia un istrice o uno speculatore edilizio; così possiamo cambiare canale rapidamente e trovare un'altra cosa più interessante, le alluvioni non sono così interessanti. Siamo tutti Salvini perché, in definitiva, non tolleriamo che il mondo cambi. Benché il mondo cambi da sempre, e molti di noi vivano e lavorino da sempre immersi nelle correnti di questo movimento: lo stesso Salvini, in epoche più stabili si sarebbe ritrovato commesso viaggiatore. Proprio perché tutto cambia, in modi che per lo più non ci piacciono, S. si è ritrovato bello pronto il suo prodotto da smerciare, il suo malcontento quotidiano da assecondare. 

Siamo tutti Salvini ogni volta che ci guardiamo indietro come se indietro ci fosse un equilibrio che pensiamo di aver perso, un'età dell'oro che non tornerà mai, probabilmente a causa di un complotto di persone malvagie che ce l'hanno esattamente con noi. Siamo tutti Salvini, pronti a puntare il dito, verso chi? Non è così importante: l'essenziale è puntare, catalizzare l'attenzione e spostarla in un punto X che può cambiare a piacere – Putin può diventare in pochi mesi da alfiere dei valori tradizionali a orco assassino nemico dell'occidente. L'importante è puntare, magari non essere i primi a estrarre il dito perché poi tocca a te scegliere l'obiettivo e se non trovi il più adatto al momento rischi una brutta figura. Ma se calcoli bene i tempi, se sfoderi l'indice né troppo svelto né troppo tardi, qualche altro intorno a te ti avrà già suggerito una direzione, un obiettivo: a questo punto basta imitarlo, qualcun altro lo sta già imitando, e se in tanti puntano verso lo stesso obiettivo un motivo ci sarà: fino a quella volta, che prima o poi ci capita, quella volta in cui ti accorgi che tocca te, è su di te che stiamo tutti puntando. 

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Dove sono i miei centonovanta miliardi?

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"Fiuuuuuuuu, fiuuuuuuuuu, ecco l'asso dell'aviazione mentre pilota il suo jet supersonico sul Canale di..."

"Ehi psst, Governo".

"Eh? Chi è? Che c'è? Sto lavorando!"

"Sono il Settore Industriale".

"Mi fa piacere, ma non si bussa più?"

"Ho bussato, ma non devi aver sentito".

"In effetti sono molto preso".

"Stavi facendo il rumore dell'F35 con la bocca".

"Stavo soppesando i pro e i contro di un intervento della flotta militare nel Canale di Sicilia".

"Cioè vuoi mandare i marò contro i barconi".

"Contro i trafficanti!"

"...Va bene. Ma probabilmente sai già perché sono qui".

"Beh, penso che potrebbe trattarsi di..."

"Di?"

"...ehm, un aiutino?"

"Un aiutino lo stavo aspettando io, non so se rammenti. Il pienerrerre".

"Ah già quello!"

"Mi avevate promesso centonovanta miliardi".

"Ormai ci siamo".

"Io ho già cominciato a spenderli".

"Volevano farci fretta, ma noi non ci siamo fatti fregare e..."

"E?"

"Abbiamo spuntato una proroga di un mese!"

"Un mese?"

"Così abbiamo tutto il tempo per..."

"Cioè volevano darceli prima e avete chiesto una proroga?"

"Abbiamo ottenuto una proroga! Così abbiamo tutto il tempo per..."

"Per?"

"Per mettere a posto la documentazione e..."

"La documentazione".

"Già. Ora se vuoi scusarmi devo chiarire una cosa con la Nato, ci hanno chiesto di mandare una portaerei in Cina e..."

"In Cina?"

"Sì. Cioè no non esattamente in Cina, ma nel mar cinese, al largo di Taiwan, sai non possiamo assolutamente permettere che quei comunisti dei cinesi..."

"Ma non devi già mandare la flotta contro i barconi".

"Contro i trafficanti! E vabbe', ne abbiamo tanta di flotta. Per cui se mi vuoi scusare..."

"Senti, governo..."

"Uffa, cosa c'è?"

"Io qualche mese fa ti  ho lasciato vincere le elezioni". 

"Non è che mi hai lasciato". 

"Potevo fare ostruzione seria, non l'ho fatta. Ti ho lasciato campo libero su giornali e tv, l'idea era che Draghi non potesse andare avanti ancora a lungo e inoltre..."

"Ti avrei calato le tasse".

"Mi avresti calato le tasse. Ma sul piennerrerre c'erano precise garanzie".

"Ma infatti ci siamo. Abbiamo ottenuto una proroga che è un risultato importante".

"Avete implorato altri trenta giorni perché non avete ancora fornito documentazione che in teoria era già pronta quando è andato via Draghi! Avevate garantito questo!"

"E voi vi siete fidati, ih ih..."

"Ci siamo fidati di Draghi!" 

"Eh vabbe' è andata così, comunque ormai ci siamo, un mese ancora e..."

"Governo, ma mi pigli per il culo?"

"Io? Come potrei mai?"

"Mi domando se tu sappia fare altro".

"È una brutta cosa da dire al proprio governo, io mi potrei anche offend..."

"E l'aeroplanino, dimenticavo, sai fare anche l'aeroplanino".

"Ora basta, non tollererò altre offese".

"Ma dimmi cosa stai facendo. Dimmi cosa ha fatto la tua maggioranza in questi mesi".

"Abbiamo ottenuto risultati importanti!"

"Per esempio".

"Abbiamo... abbiamo vietato la farina di insetti".

"La farina di che?"

"La lobby globalista voleva costringerci a mangiare insetti e noi con un decreto legge..."

"Avete stabilito che va scritto nell'etichetta".

"È un risultato importante!"

"Ma lo sai quanto costa al momento la farina di grillo qui da noi?"

"Chi, io?"

"Lo sai? Sta sui settanta euro al chilo".

"Maledetta lobby globalista".

"Secondo te se avessi voglia di mettere farina di grillo in un pacco di biscotti ho bisogno che tu mi imponi di scrivercelo sopra? Sarebbe un prodotto di lusso, ci dovrei mettere il fiocchetto con la dicitura impasto de luxe. Ci vorranno anni perché le farine di insetti siano competitive, e nel frattempo mi costringi a scrivere insetti su tutte le bibite colorate con la cocciniglia?"

"Cioè mi stavi dicendo che usavi le coccinelle per colorare le..."

"La cocciniglia, non le coccinelle... sì, vabbe', senti, non me ne fotte un cazzo della farina di insetti, al momento".

"Ma la lobby globalista..."

"Non m'interessa perché non è competitiva – e quando lo sarà, sarò il primo a volerla usare per cui chi sarà al tuo posto in quel momento quei decreti me li straccia al mio tre, capito?"

"Ma è questo il modo di parlare?"

"No infatti, credo di dover essere più chiaro. Se da qualche parte una fabbrica di content, una scuderia di influencer o che cazzo ha deciso che bisognava spaventare il parco buoi degli elettori con la farina d'insetti, a me sta bene. Sta bene anche se fate casino sull'utero in affitto o su altre cazzate, il consenso è il vostro mestiere".

"E infatti abbiamo vinto le elezioni".

"Benissimo, complimenti, e adesso voglio i miei centonovanta miliardi".

"Ma non è così facile".

"Non state facendo un cazzo".

"Ma non è vero... abbiamo... abbiamo..."

"Cosa?"

"Vietato la ehm... carne sintetica".

"No io adesso stacco tutto".

"Aspetta! Aspetta! So che sembra una misura populista e dissennata, ma abbiamo salvato gli allevatori in questo modo".

"Ah cioè a voi interessano gli allevatori adesso".

"Eh certo, il made in Italy e..."

"Le vacche. A voi interessano le vacche".

"Credo che ci sia un termine più forbito per definirle".

"Ci siete mai stati in una stalla? Lo sapete chi ci lavora mediamente?"

"Allevatori italiani!"

"Come no, ci siamo ridotti a importarli dall'India. Ci toccherà andarli a prendere con gli aeroplani".

"Eh beh quelli dobbiamo usarli contro i trafficanti".

"Cioè volete che l'Italia torni a essere una nazione di pastori e contestualmente sparate ai pastori che vengono in Italia a lavorare. E comunque non avete vietato la commercializzazione di carne sintetica".

"Eh beh, l'Europa non ci avrebbe lasciato, ma..."

"Avete vietato solo la produzione di carne sintetica, per cui ci toccherà farla in Romania, come le calze. E comunque il decreto è scritto così male che alla lettera vieta la commercializzazione di qualsiasi tipo di carne".

"Vabbe', adesso lo emendiamo, non è che ti puoi attaccare alle lettere..."

"Le leggi sono fatte di lettere! E saper scrivere le leggi, i decreti, anche questo è il vostro mestiere".

"Ah sì?"

"Non lo sapevi?"

"Ma io se devo essere sincero... pensavo che una volta entrati nelle stanze dei cosi, dei..."

"Dei bottoni".

"Pensavo che ci sarebbero stati quelli che lo sanno fare, noi avremmo spiegato le cose a loro e loro..."

"Li dovevate assumere".

"Sì, ecco, appunto, adesso li stiamo..."

"E prima li dovevate formare..."

"Eh vabbe' dobbiamo pensare a tutto noi, adesso sinceramente è tutta colpa nostra? Non vorrei fare il solito governo che dà la colpa ai governi precedenti, ma..."

"Ma lo stai facendo".

"Sì! Lo sto facendo! Ebbene sì! Perché se ogni governo che passa qui invece di investire nella formazione continua a tagliare e non assumere, non è che adesso arrivo io e..."

"Guarda, su questo non avresti tutti i torti".

"Ah no?"

"No tutti no".

"Ma infatti!"

"E quindi smetterai di tagliare sulla formazione?"

"Eh ma che c'entra, non lo sai che c'è il calo demografico".

"Il calo demografico c'è solo se bombardi i barconi".

"Aoh, e non l'hai capito? Si dice trafficanti".

"Non m'interessa come dici tu".

"Ah no?"

"Non così tanto, no. Le tue parole d'ordine, i tuoi meme, le quattro idee che continuano a macinare nelle vostre fabbrichette del consenso, te l'ho detto: è il vostro mestiere, interessa a voi. A me interessa una cosa soltanto".

"Ed è?"

"I miei centonovanta miliardi".

"Ah sì, quelli! Tra un mese".

"Tra un mese stacco tutto, te lo dico".

"Mmnooo, dai, non lo farai".

"E perché no?"

"Perché ormai li hai provati tutti. Hai mandato a casa Conte, ci hai mandato Draghi, e se mandi a casa me chi ti resta? La Schlein? Fammi ride".

"I sondaggi..."

"Oh, quelli. Tra un anno magari. Un paio d'anni, ecco sì. Immagino che abbiate già opzionato Draghi per allora. Ma adesso qua ci sono io. Ho vinto le elezioni e ci sono io".

"Avevi promesso..."

"E tu ci hai creduto".

"Pensavo che..."

"Che ti avrei tolto le tasse. Flat tax senza aliquote. E scudo fiscale a strafottere. E adesso ti lamenti perché taglio l'istruzione. Guarda in faccia la verità".

"No, io..."

"Guarda in faccia la verità, io sono il tuo vero governo. Quello che ti rappresenta come nessuno mai ti ha rappresentato".

"Sei un bamboccio che gioca con gli aeroplanini, sei..."

"Quello che ti meriti".

"Voglio i miei centonovanta miliardi!"

"Non sono tuoi".

"Me li avete promessi!"

"Credi siano a fondo perduto? qualcuno li avrà indietro prima o poi. Glieli darai tu?"

"Eh?"

"No, credo di no. Dovrai trovare qualcuno a cui passare la patata per allora. Immagino che Schlein e compagnia ti torneranno utili in quel momento. Ma nel frattempo ci sono io. Arrivederci".

"Ma non credere che..."

"Ho detto: arrivederci".

Esce il settore industriale.

...

"Uffa che noia quello. Dov'ero rimasto? Ah già. Fiuuuuuuuu, fiuuuuuuuuu, ecco l'asso dell'aviazione mentre pilota il suo jet supersonico sul Canale di..."

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Perché il Ponte non c'è già?

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Che a questo punto si riparli di Ponte sullo Stretto non è affatto sorprendente. Così permettetemi di cominciare con una domanda molto semplice, che rivolgo soprattutto a chi crede che il ponte si possa fare subito, anzi vada fatto subito, anzi è un peccato che non esista già:

e perché non esiste già?


Il Çanakkale 1915, con la campata più lunga del mondo (2023 metri)
(lo Stretto di Messina supera i 3000)

Rifletteteci bene. Se siete convinti che un ponte con una campata unica di tre chilometri si possa fare, cosa ci ha impedito di farlo fin qui?

La volontà politica? Non è vero: un sacco di governi hanno vinto le elezioni promettendo il ponte sullo Stretto, e le hanno vinte bene, con ampie maggioranze. Quindi potevano farlo. E perché non lo hanno fatto?

Guardate che non siamo mica nati ieri. Di ponte sullo stretto parliamo da due millenni, la terra per costruire i piloni l'abbiamo confiscata vent'anni fa, e da più di dieci paghiamo una penale a una ditta che aveva vinto un appalto. Tanto valeva farle costruire il ponte. 

E perché non glielo abbiamo fatto costruire? 

Il progetto c'era. Aveva vinto una gara, e benché avesse destato più di una perplessità tra gli addetti ai lavori, qualche ingegnere e architetto deve pur averne firmato i progetti: quindi perché sono rimasti progetti? 

Chi esattamente si è messo in mezzo alla più grande realizzazione ingegneristica italiana di tutti i tempi? Perché ci dev'essere stato qualcuno che ha bloccato tutto, altrimenti non si spiega. Eppure per quanto cerchi non riesco a trovarlo. 

Ci tengo comunque a ricordare che non sono stato io – per quanto paradossale, una precisazione del genere a questo punto è necessaria. Eppure io alla fine chi sono? Nessuno. 

Sono solo un tizio che ogni tanto, quando scoppia una discussione sul Ponte, interviene portando alcune informazioni che a dire il vero sono alla portata di tutti:

a) Lo Stretto è largo 3 km.

b) La profondità non rende possibile piantare piloni nella zona centrale.

c) Non esiste (ancora) una tecnologia che ci consenta di costruire ponti con una campata molto superiore ai 2 km. 

Il ponte di Akashi, che per vent'anni ha mantenuto il record di campata più lunga.


Il punto a è autoevidente (controllate pure su Google Maps) e non è destinato a cambiare per qualche milione di anni. Il punto b forse un giorno lontano si potrà mettere in discussione (ogni tanto in effetti si riparla di soluzioni alternative, il famoso tunnel). Il punto c è il più controverso, e si basa soprattutto su un'osservazione empirica: la campata unica più lunga mai costruita dall'uomo è di 2 km. Il ponte sullo Stretto dovrebbe superare il record mondiale, e non di poco; di quasi il 50%: è possibile? Chi parla di costruirlo in tempi brevi sostiene (o finge di sostenere) che sì, è possibile. Del resto almeno un progetto per una campata di 3 km c'è, qualche ingegnere e architetto l'hanno firmato; c'è già il cantiere, anzi stiamo già pagando le penali all'impresa che ha vinto l'appalto. Penali milionarie che hanno fatto pensare a più di un governante: ma tanto vale che paghiamo un po' di più e lo facciamo davvero. 

Punto di vista perfino comprensibile... e tuttavia il ponte non si è fatto lo stesso, credo per i soliti tre motivi che sono più forti di qualsiasi obiezione: lo Stretto continua a essere lungo 3 km, la profondità non rende possibile piantare piloni in mezzo, e una campata più lunga di 2 km non s'è ancora vista. Tutto qui.

Di solito chi sostiene il Ponte parla della necessità di innovare, di fornire collegamenti più veloci e efficienti, e perché no, di stupire il mondo con un'opera unica al mondo. Tutte esigenze condivisibili, e tuttavia dopo averle espresse a me piace intervenire ricordando che lo Stretto rimane lungo 3 km; la profondità continua a non rendere possibile piantare piloni in mezzo, e la tecnologia non fa quel passo necessario a permetterci di costruire ponti con una campata centrale superiore ai 2 km. 

E la discussione dovrebbe finire qui. Invece di solito è qui che comincia. Perché il mio interlocutore – quello che difende la necessità di innovare, di collegamenti più veloci ed efficienti, ma anche, perché no, di una maxiopera che richiamerebbe l'attenzione del mondo intero – a quel punto l'interlocutore se la prende con me. Perché? 

Perché conosco la geografia.

Se gli faccio presente che lo Stretto è lungo 3 km, mi accusa di non credere alle innovazioni. Siccome gli spiego che non si possono piantare piloni nella zona centrale, mi risponde che non capisco la necessità di collegamenti più veloci ed efficienti tra la Sicilia e il continente. Siccome gli ricordo che non esistono al mondo campate più lunghe di 2 km, mi accusa di sabotare la maxiopera, di cospirare contro l'immagine internazionale dell'Italia. 

E dopo un po' che si discute così, di solito avviene questo fenomeno per cui sembra che il vero motivo per cui il ponte non si fa non siano i 3 km, né la profondità: no, il vero motivo sarebbe la mia ostilità al progetto. Mia e di chissà quanti altri milioni di persone che io con le mie opinioni rappresenterei: siamo noi, noi nemici delle innovazioni, dei collegamenti e del made in Italy, quelli che rendono impossibile ai siciliani arrivare in Calabria in treno. Pensa che roba: c'è il progetto, c'è il cantiere, ci sono già gli operai pronti con gli utensili in mano, e li stiamo già pagando; e però il ponte non si fa perché il signorino, che sarei io, conosce la geografia e quindi pesta i piedi: no, no no, mi dispiace sono tre chilometri, fermi tutti. 


Ma non è vero

– e anche se fosse, sai che c'è? Volete il ponte? 

Va bene, fatelo. 

Se è la mia ostilità a tenere lontana Scilla da Cariddi, ebbene la mia ostilità può cedere di schianto, con un atto performativo: ecco, smetto di oppormi al Ponte; fatelo pure.

Lo farete?

No, non subito. 

E si capisce: i km sono ancora tre; la profondità è ancora eccessiva, e nel mondo nessuno sta veramente cercando di costruire campate di tre chilometri. 

Invece molti sostenitori del progetto, in buona fede o meno, si comportano come se da qualche parte ci fosse un Movimento No Pont disposto a sabotare la gettata dei piloni: non fosse per questi No Pont, ormai Messina e Reggio sarebbero una città sola; ma siccome sono dappertutto, camuffati tra il popolo e le istituzioni... niente da fare, il Ponte ancora non si fa: il che almeno ci consente di ripromettere la stessa cosa a ogni tornata elettorale. 

È un meccanismo così rodato che ormai anch'io ho la sensazione di farne parte, ogni volta che il politico di turno tira fuori l'argomento e quelli come me recitano la parte degli oppositori. Come se fossimo noi il motivo per cui il ponte non si fa: non la geografia, non i 3 km, non la profondità, non i limiti dei materiali e delle tecnologie, no: sarei io, coi miei discorsetti on line, col mio scetticismo di maniera.

Come se a me alla fine poi dispiacesse il ponte in sé: e invece no, giuro, non ho mai bloccato un cantiere, non ho mai boicottato nessuna impresa, non solo: il giorno che si farà ne sarò contento. 

Ma non si fa.

E perché non si fa, secondo voi?


(PS: in una prima versione di questo pezzo si citava ancora il ponte di Akashi come la campata unica più lunga del mondo. Questo malgrado già da un anno sui Dardanelli sia stato inaugurato il ponte della battaglia di Gallipoli del 1915, che supera la campata di Akashi di... una ventina di metri. Ringrazio il commentatore che mi ha avvisato dell'errore. Chi insiste sul fatto che possiamo costruire il ponte sullo Stretto, sostiene di poter migliorare il record mondiale di quasi un km. E lo sostiene da trent'anni. E in trent'anni non abbiamo visto niente, forse non avevamo abbastanza fede). 

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Questa destra tolemaica

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  – Questa destra è tolemaica. Certo, se glielo chiedi sono passati anche loro all'eliocentrismo copernicano. I più preparati riusciranno anche a borbottarti qualcosa della relatività ristretta, ma è un'adesione di facciata: dentro di loro, il Globo Terracqueo è ancora l'universo intero, e l'Italia ne occupa un pezzo importante. Siamo ormai governati da quelli che ai tempi dei marò votavano il sondaggio di Libero: siete favorevoli a liberarli con un blitz militare? Chi al tempo scriveva queste puttanate sapeva benissimo che una guerra contro l'Unione Indiana era fuori discussione; chi governa adesso forse per un attimo ci ha creduto: insomma sono indiani, non esiste che abbiano un esercito più preparato di noi bianchi. Un'analoga difficoltà percettiva impedisce di prendere atto che le correnti migratorie esistono, da decenni: che interessano milioni di persone, e scaturiscono da questioni economiche e sociali che non possiamo svuotare col cucchiaio. A definirla tolemaica, questa destra, in fondo la si sopravvaluta perché già le ultime mappe geocentriche mostravano chiaramente che l'Africa e l'Asia sono molto, molto più grandi della nostra piccola penisola. Questa destra lo sa, ma non ci crede. O meglio: lo sa, ma decide di credere il contrario. La radice della sua fede sta in una negazione: non è vero che siamo un piccolo mondo nell'universo; proprio perché lo dicono le mappe, e lo confermano i numeri, noi affermeremo il contrario con tutta la forza della nostra volontà, e voi votateci per questo. Mappe e numeri continueranno a darci torto e noi continueremo a inventarci qualcosa. In effetti siamo bravi in questo: nell'inventarci qualcosa.


– Questa destra è creativa. Non tutti i complottismi sono di destra, ma prima o poi arrivano lì, perché forse tutti i complottismi hanno una base paranoica sottesa a una certa concezione tolemaica del nostro essere ancora al centro dell'universo. È impossibile che gli africani vogliano venire in Italia semplicemente perché è il primo scalo accessibile verso l'Europa: ci dev'essere qualcosa dietro, è chiaro che qualcuno ci odia e lo fa apposta, vengono qui apposta per darci fastidio, inoltre qualcuno li paga. Ieri era il malvagio Soros, mentre Putin ci difendeva: adesso però Putin è diventato un nemico e quindi è lui che paga la Wagner che convince gli africani a venire qui, ecco, è tutto risolto e ce lo siamo inventati in un pomeriggio, siamo o non siamo bravi in queste cose? I nostri bisnonni si inventarono l'Arma Segreta che avrebbe fatto vincere Mussolini anche quando le pigliava da tutte le parti: cioè non è che s'inventarono realmente un'Arma Segreta: quello lo fecero gli scienziati che però ormai lavoravano tutti per gli americani (e qualcuno ancora per i tedeschi). I nostri bisnonni si inventarono la leggenda dell'arma segreta, ed è quello che continuiamo a fare noi: ci inventiamo leggende. Ci riconosci sin da piccoli, a scuola siamo quelli che presi in castagna puntiamo il dito sul compagno di banco, una volte su cinque la maestra ci casca. Siamo scarsi in tutto, ma è colpa del Comunismo. O dell'Euro. Anche un po' della Nato – no, come non detto, è colpa di Putin. 

– Questa destra è nostalgica di cose che nemmeno più capisce. È una fanatica dell'identità, manda a memoria date e discorsi e li risputa fuori a casaccio, completamente decontestualizzati. Quali meccanismi mentali possono portare uno che dovrebbe fare il manager a citare in una mail ai sottoposti un discorso di Mussolini, e non un banale spezzeremo le reni a qualcosa, ma l'assunzione della responsabilità politica del delitto Matteotti? Le parole che in quel contesto avevano una lucidità impressionante diventano un mantra senza senso: proprio chi è così lesto a citarle mostra di non aver capito a cosa servivano. Poi uno dice che non vanno chiamati fascisti – in effetti è una parola pesante, anche nel Ventennio il fascismo era una dottrina, una mistica, si studiava a scuola, e questa destra chissà se avrebbe passato gli esami. Magari copiando. 

– Questa destra è malmatura, voglio dire: hanno cinquant'anni e fanno le feste di compleanno. Le feste di compleanno. Devono berci sopra, devono cantare, hanno vinto e questo ci si aspetta dai vincitori. Non pronte soluzioni a problemi che sono ben al di sopra delle loro capacità: quindi brindano e chi fa notare che la cosa non ha senso è soltanto invidioso. Salvini e aa Meloni hanno sgobbato tanto per arrivare dove sono: e adesso festeggiano. Che altro dovrebbero fare e che altro dovremmo aspettarci da loro? il karaoke. Poi si stancheranno, e una mattina qualsiasi con un cerchio alla testa manderanno tutto a monte come Salvini quella volta al Papeete. Cercheremo qualche altro tecnico che raccolga i cocci e magari scopriremo che non ce n'è più. 

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Affogarne 60 per educarne un miliardo

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Non ci paga nessuno per discuterne, e quindi tanto vale essere franchi: riguardo ai migranti, non c'è un governo italiano che non abbia le mani insanguinate, perlomeno da Berlusconi in poi. Alcuni hanno avuto il relativo merito di trattare la situazione come una crisi umanitaria – il che non significa che non abbiano commesso negligenze imperdonabili. Altri hanno deliberatamente lasciato annegare migliaia di persone, mentre cercavano di coprire le loro responsabilità sviluppando teorie del complotto risibili (i "taxi del mare"); quello che è successo insomma a Cutro, e tra breve succederà altrove, non è niente di nuovo: possiamo dire che il governo Meloni ha dimostrato, nel frangente, una determinazione criminale, ma non diversa da quella mantenuta ad esempio ai tempi di Minniti. Quello che sorprende, nella tragedia di Cutro, quello che ci costringe a collegare i morti annegati al voto dello scorso settembre, è la specifica assurdità dell'episodio: non il fatto che siano morti, ma che siano morti a duecento metri dalla terraferma, a poche ore da un avviso di Frontex e mentre le imbarcazioni più adatte al soccorso restavano al molo. Tutto questo può anche essere successo a causa di una terribile coincidenza di eventi – vedremo cosa ne penserà la magistratura – ma non si può escludere che c'entri la profonda insipienza di alcuni elementi della catena di comando che fino a settembre magari facevano altro, anche se è difficile immaginare che altro fossero in grado di fare. 

2/12/2022

Il fatto nuovo, insomma, non è che si lascino annegare i migranti: è da molti anni che lo facciamo. Ma non in modo così smaccato, non a così pochi metri dalle nostre spiagge: bisogna essere stupidi per ammazzarli così e a quanto pare lo siamo diventati. Siamo probabilmente passati dalla fase in cui i governanti raccontavano sciocchezze per giustificare i nostri crimini (il "pull factor"), alla fase in cui nuovi governanti, persino più ingenui dei precedenti, credono a quel tipo di sciocchezze. Vent'anni di giornaletti fascisti scritti da mestatori fatti passare per giornalisti controcorrente hanno creato quel tipo di politico che probabilmente crede davvero che gli aspiranti migranti s'informino prima di partire su che tipo di governo esiste in Italia: se c'è al governo la "sinistra immigrazionista" corrono subito a fare le valigie; se invece vince aa Meloni subito cominciano a passarsi la voce sui loro smartphone (visto che hanno tutti lo smartphone): eh no, quella è tosta, meglio restare sotto le macerie di un bombardamento o di un terremoto od ovunque ci troviamo. 

Siccome poi qualcuno recalcitra, siccome qualcuno ormai magari è già a metà strada e va dissuaso finché è in tempo, occorrono lezioni esemplari: in fondo una volta ammesso che possa esistere un pull factor, non si può che giungere alla conclusione che esso possa essere contrastato da un non-pull factor, ad esempio dalla notizia di una strage così vicina alle nostre coste. Un avviso a tutti i poveri del mondo: lasciateci perdere, siamo degli animali, potreste naufragare a cento metri dalle nostre spiagge e non faremmo nulla per salvarvi, è chiaro? Affogarne sessanta per educarne un miliardo, probabilmente ai piani alti la pensano così.

Cioè, "pensano" è una grossa parola. Non hanno la percezione della quantità, vivono in un mondo immaginario dai confini elastici. Scambiano l'Africa per un cortile, il Mediterraneo per un oceano, lo straniero è un alieno ostile che però ragiona esattamente come un lettore di Libero, se possiamo definirlo ragionare. Vogliono soluzioni semplici, il che richiede problemi semplici: la pressione demografica mondiale non lo è, e quindi smette di essere un problema, insieme alle cause che la determinano. Ci sono solo migliaia di persone che hanno voglia di venire da noi, ma se gli mostriamo che siamo degli animali spietati e incivili vedrai che la voglia gli passa.

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Un Sanremo di destra (alla fine ce lo guarderemmo)

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Capite che un conto è perdere ancora, perdere male, contro avversari quasi improvvisati e impresentabili (Fontana in Lombardia!); ma ritrovarsi nella sconfitta a dover fare quadrato intorno a un presentatore tv che si fa chiamare Amadeus e la sua gestione di un festival della canzone, ecco, questo è molto più della semplice beffa che si accompagna al danno, e richiede un minimo di spiegazione. Sanremo come baluardo della sinistra, sul serio? Com'è potuto succedere, e in che modo possiamo evitarlo?

Loro sono proprio contro il coro, capite

Che quest'anno il nodo potesse arrivare al pettine alla fine era inevitabile. C'è un Italia che va decisamente a destra, e un immaginario che sembra prendere la deriva opposta. Così come aa Meloni sembra un filo più estrema di Salvini (ma sarà vero?), Rosa Chemical risulta più estrem😶 di Achille Lauro (e anche lì, forse è solo un effetto ottico). Lo struggimento degli opinionisti di destra sarebbe perfino comprensibile – se non dessero come sempre l'impressione di una serie di animaletti meccanici caricati a molla: insomma abbiamo vinto le elezioni, Sanremo dovrebbe avere registrato questa cosa, o no? cosa aspetta l'immaginario nazionale a farsi modellare dai tweet dei nostri sottosegretari aa curtura? La Rai poi è anche servizio pubblico, perché non s'inginocchia? Probabilmente s'inginocchierà, magari si stava semplicemente aspettando il momento giusto per lo spoil system. Si potrebbe persino ipotizzare che Sanremo sia stata la trappola in cui i dirigenti sono ingenuamente caduti mentre stavano a distillare lo share alle due del mattino. Da quello credevano dipendesse il loro destino, illusi!, e non dalla Minaccia Genderfluida. 


Adesso coraggio, diciamo l'indicibile: mettiamo che la Destra ormai invincibile riesca a plasmare Sanremo a sua immagine entro il febbraio 2024. Non diventerebbe di colpo uno spettacolo più interessante, qualcosa che varrebbe la pena di guardare anche solo per vedere come lo riducono? Stiamo parlando di Sanremo, il trash ha sempre fatto parte del gioco. Ma un Sanremo che invece della prevedibile concione di Benigni sulla Costituzione-che-il-mondo-ci-invidia cominciasse, che ne so, con un monologo di Brignano su quanto siamo er mejo der Mediterraneo sin dai tempi deji antichi Romani, e proseguisse con ospiti degni dell'occasione, ad esempio tra gli sportivi potrebbero chiamare Ivan Nemer che potrebbe leggere un temino (scritto da lui) in cui ricorda l'orribile persecuzione di cui è stato vittima per aver osato regalare una simpatica banana marcia a un compagno che si è offeso in modo ingiusto, dato che in Italia non siamo razzisti, altrimenti altro che in nazionale, a raccogliere i pomodori vi manderemmo, e zitti. E poi canzoni sovraniste – ma non troppo perché la Nato si potrebbe arrabbiare, quindi anche un po' atlantiste – ma non troppo perché la porta a Putin va lasciata aperta, Berlusconi ci tiene e non ha elettoralmente tutti i torti, canzoni contro l'Euro? No, quello ormai ce lo teniamo. Contro l'Unione Europea? Ma senza esagerare, insomma forse meglio prendere canzoni d'amore come nelle scorse edizioni: però rigorosamente non-fluido, tra l'altro qual è il contrario di fluido in amore? "Fisso", "immobile", "cristallizzato", vabbe' l'importante è che sia chiaro che la donna ama l'uomo e viceversa e sempre rigorosamente in un rapporto uno a uno, insomma torniamo a prima dello Zero (non l'anno, proprio il cantante Renato Zero, diciamo 1975).

(Insomma niente da fare, neanche l'apocalisse meloniana ci salverebbe dai Coma Cose).

Era da tanto che non leggevo killeraggio

Un Sanremo così lo metto per iscritto per renderlo ancora meno plausibile, ma lo è già parecchio: molto più semplice pensare che la destra continui a tenerselo così, magari limando qualche asperità e continuando a lamentarsene, che è una cosa che a destra piace molto, anche quando vince. Sanremo come riserva di un progressismo in via d'estinzione/assimilazione, dove anche istanze interessanti come l'antiproibizionismo o l'emancipazione sessuale vengono difese da fenomeni da baraccone che alla lunga si rivelano controproducenti – Fedez non sarà mai un leader credibile, mi sento di dire, e allo stesso tempo se penso che una volta Benigni era il tizio che cercava di tirare i pantaloni a Baudo e la gonna alla Carrà (contro il loro consenso), e adesso è quello a cui chiediamo il discorsone ufficiale per l'anniversario della Costituzione, beh, beh. Magari tra vent'anni al suo posto ci sarà Rosa Chemical, chi può dirlo. Mentre io per allora rischio di trovarmi in uno di quei posti in cui ti lasciano la tv accesa e non ti danno il telecomando, ammetto un po' di angoscia al pensiero.

Bello però quel "marito della Ferragni"

Può darsi che Sanremo stia diventando quel che per gli americani è Hollywood: cioè in un certo senso un grosso equivoco, la ridotta di un progressismo ormai più immaginario che reale. E però l'immaginario è importante e difenderlo ha un senso. 

(Ma se con l'immaginario occorre difendere Amadeus, no, mi dispiace, io passo) (e Fedez? passo) (Benigni? una volta o l'altra dovrò mettere per iscritto cosa mi ispira ormai Benigni: diciamo che più si sforza di convincermi che tutto è bellissimo e degno di ammirazione, più ho paura che dietro di lui ci stiano i kapò, i reticolati e la morte).

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Carcere duro a chi ne vuol parlare

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(Una modesta proposta)

Io non ho un'opinione forte sul regime carcerario previsto dal 41bis – il pezzo potrebbe finire qui, in effetti. Non ho un'opinione nemmeno così debole, diciamo che è oscillante e che dipende molto da chi mi fa la domanda. In linea di massima posso dire che oscilli tra il punto di vista A ("È tortura") e il punto B ("abbiamo sconfitto Cosa Nostra, insomma è utile"). Su questa oscillazione traballa tutta la mia coscienza democratica, il dubbio di vivere in uno Stato che non sempre riesce a garantire i diritti fondamentali a tutti i suoi cittadini. Mi consolo pensando che almeno non oscillo mai verso il punto C ("Se lo meritano"): lo lascio volentieri aa Meloni e ai suoi garzoni, che in questo caso stanno mostrando tutta l'impreparazione che avevamo largamente previsto.

A tal proposito, la linea del(la) presidente mi sembra la più vittimista possibile, il che non sorprende di certo: l'attacco frontale al PD ricorda quasi una certa strategia bannoniana di demonizzazione dell'avversario, che a ben vedere non è che abbia molto giovato alle destre negli Usa e nel mondo. I bannoniani hanno provato a descrivere una moderata come la Clinton in una satanista: nel medio-termine però è la destra bannoniana che si è trasformata in una specie di setta dai comportamenti ingestibili (l'attacco al Campidoglio). Cercare di vendere al proprio pubblico il PD, un partito di mediocri amministratori, come il braccio politico dell'insurrezionalismo anarchico, è una mossa talmente bannoniana che lascia perplessi, insomma è uno schema che fin qui non ha funzionato: e però, e però io sto in Emilia, uno dei pochi posti in cui il PD esiste ancora, puoi vedere gli iscritti in giro per la strada e nemmeno per un istante puoi credere che siano bombaroli; nella maggior parte del territorio ormai è una sigla abbastanza esotica, per cui non è detto che la demonizzazione non funzioni, o che il PD non dovrebbe immediatamente reagire con una prontezza di riflessi che purtroppo non ha (non ha nemmeno un organo di stampa: scommette sulla benevolenza di una classe imprenditoriale che l'ha abbandonato da mò).

Tornando al 41bis, e in particolare al punto A ("è tortura"), ammetto che dipenda molto dal mio temperamento: benché io ami relativamente la solitudine, devo assolutamente trovarmi qualcosa da fare, altrimenti credo di poter impazzire in pochi minuti. Poche cose mi ispirano più orrore dell'isolamento carcerario, e in particolare il pensiero che i reclusi non possano nemmeno leggere mi risulta intollerabile. Non solo ingiusto: intollerabile. Così ho questa proposta: chiunque sostenga di avere un'opinione forte sul 41bis, che passi almeno due settimane in una stanza sempre illuminata, senza libri e materiale audiovisivo e insomma nella stessa condizione in cui vivono per anni i carcerati al 41bis. Quindici giorni, e poi se proprio volete condividere la vostra opinione, vi ascolteremo. 

Con questo non m'illudo di cambiare idea a gente che è pagata per avere la più trucida possibile – sparo un nome a caso: Mario Giordano. Probabilmente anche dopo due settimane di carcere duro continuerebbe a dire o scrivere cazzate: ma almeno per due settimane non dovremmo sentire le sue cazzate, un vantaggio collaterale vedete che c'è, e io mi accontenterei. E poi chissà, magari uno o due li troviamo, che hanno la testa meno dura del carcere. 

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Aa faccia daa destra sociale

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Credo che bisogna essere grati aa Meloni, e ai suoi beccai sociali, non di molte cose ma almeno per la chiarezza che stanno portando nel discorso politico, inquinato da anni di sciocchezze trasversali. Per chi ha sempre creduto – e io ci ho creduto abbastanza sempre – che la politica sia un confronto continuo tra le classi sociali, dagli anni Novanta in poi seguire quella italiana era assai frustrante: anche quando si riusciva a riconoscere una destra da una sinistra, sembrava che ignorassero la loro funzione e s'ingegnassero di parlare a tutti e difendere gli interessi di tutto, come due canali televisivi generalisti. Erano dalla parte degli imprenditori ma anche con i ceti più umili ma anche con gli impiegati e gli insegnanti, ci mancherebbe, e i pensionati, e i giovani, qualcuno doveva pur pensare ai giovani e in effetti ci pensavano tutti, era proprio un chiodo fisso. Finché a un certo punto non sono arrivati i grillini, il terzo canale: ma anche loro all'inizio non si capiva bene a chi si rivolgessero; anche loro agli imprenditori vessati (specie medi, piccoli, nani), anche loro alla povera gente oberata dalle tasse, anche loro agli insegnanti che corsero in gran numero a votarli, e così via. 

Ecco, l'impressione è che all'apparire di questa crisi, che forse è più sistemica del solito, le cose si siano chiarite, se non proprio irrigidite: e così abbiamo avuto finalmente un partito che ha vinto le elezioni promettendo di togliere a qualcuno (il reddito di cittadinanza) e dare a qualcun altro (la flat tax e l'abolizione del tetto al contante): lo ha promesso, ha vinto le elezioni, lo ha fatto. Tutto molto chiaro, e gli ultimi trent'anni di pubblicistica sulla destra sociale possiamo anche usarli per scaldarci nelle fredde notti d'inverno. Non mi ricordo più ma credo che persino aa Meloni ai tempi di An venisse da quella corrente lì, quella dello Stato forte che protegge i deboli, ecco: se qualcuno nutriva ancora un dubbio, adesso può toglierlo da dove lo nutriva. Ci sono classi sociali e ambiti professionali che hanno effettivamente vinto le elezioni: ci sono artigiani che potranno tornare ai vecchi livelli di nero, camorristi che potranno riciclare con più facilità, scuole private che riusciranno a salvarsi anche stavolta. E c'è gente che si sta ammalando, più dell'anno scorso in questi giorni, perché aa Meloni & co. hanno deciso che l'emergenza è finita e probabilmente questa idea di togliere un bel po' di anziani e deboli dai conti dell'Inps non dispiace; ci sono ospedali pieni e scuole pubbliche da smantellare col pretesto del calo demografico ed è giusto così: chi vuole sanità e istruzione pubbliche ha perso le elezioni: magari la prossima volta si porrà veramente il problema di vincerle, con programmi chiari che parlino a classi sociali un po' più nettamente definite che in passato.  

(Certo, rimane il dubbio che questo irrigidimento sia avvenuto all'improvviso, rendendo definitive posizioni quasi aleatorie: ad esempio forse qualcuno ricorda ancora quando il M5S era il partito dei novax: poi gli è capitato di trovarsi al governo durante il covid e adesso, decisamente, non è più il partito dei novax. Ma se al governo nello stesso momento ci fossero stati Salvini o aa Meloni, e avrebbero potuto benissimo esserci, forse oggi Conte sarebbe un novax e la destra meloniana sarebbe per il distanziamento e le mascherine. Allo stesso modo il motivo per cui, oscillando tra populismo e sovranismo, a un certo punto aa Meloni si è trovata dalla parte della piccola media impresa e i grillini dalla parte dei percettori di reddito è quasi casuale: se il pendolo si fosse fermato qualche mese prima o dopo, forse oggi avremmo una Meloni populista e un Conte ancora alleato di un Salvini sovranista, o il contrario. Ma questo al limite cosa prova? Che i politici oscillano, e le classi sociali restano. I politici sono sul mercato, vanno dove trovano la nicchia o vedono uno spazio per crescere).

(In mezzo a tutto questo, i più miopi restano quelli che le classi proprio non le vedono: il terzo polo che in realtà è il quarto o il quinto, i personaggi in cerca d'autore che ci vivono, i giornali in cerca di lettore che ancora ci scommettono, l'ex grande industria che ci spende dei soldi, tutto un ambiente che per qualche motivo ancora non ha il coraggio di dirsi di destra e di tentare seriamente quella opa ostile di cui fantastica dai tempi di Montezemolo). 

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Prima vennero per i novax

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Prima vennero per i novax,


però come vennero se ne andarono, e alla fine lasciarono i novax più o meno dov'erano (ok, alcuni persero mesi di stipendio, per carità, è un problema, ma non esattamente il confino a Ventotene, ecco).

Poi vennero per i ravers,

e a quel punto i novax ci dissero eh, cazzi vostri, dovevate difenderci quando erano venuti per noi; non lo avete fatto e adesso è troppo tardi. 

E noi: ma come, scusate, non avete capito come funziona la storiella? È da quarant'anni che ce la raccontiamo, lo sapete benissimo che prima i fascisti vengono per x e poi per y e alla fine non resta nessuno... Loro alzano le spalle, perché dopotutto per loro i fascisti erano già passati, e senza troppi danni. 

Ovvero, pensate all'ironia: ai novax la repressione fascista non preoccupava perché... l'avevano già avuta in forma benigna! insomma si erano vaccinati dal fascismo! 

E mentre rifletti su questo brillante paradosso qualcuno suona il campanello: sono venuti pe te. 

Tu dici, proprio per me? potevate almeno venire venerdì scorso.

Perché venerdì scorso?

Perché non mi ero ancora fatto la quarta dose, così diventavo un novax e almeno un novax ve lo portavate via davvero. 

Loro scuotono la testa, guardi che la storiella non funziona così, eh? Non la conosce? Non l'ha letto Brecht?

No, guardate vi sbagliate, non l'ha scritta Brecht, comunque a chi tocca oggi? L'altro ieri i novax, ieri i ravers, oggi me ma io chi sarei?

Ecco dunque sì, oggi siamo venuti per i cagacazzo.

Ah ok, vado a fare le valigie. Posso?

Contento lei.

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Il primo presidente donna (anzi ragazza immagine)

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Si sarà capito a questo punto che non nutro molta simpatia per il presidente del consiglio in carica (in carico?), per la storia che è convinto di rappresentare che per me è una storiella, per i valori che crede di difendere che per me sono paroloni vuoti, per le brutte facce e che cerca di nascondere dietro il suo musetto simpatico. Non la stimavo prima e, non scrivendo io per testate prestigiose e intelligenti, non sento quell'impulso irresistibile a cominciare ad ammirarla adesso. Certo, credo sia importante giudicarla per quello che fa e non solo per i discorsi, gli articoli determinativi, i sostantivi – a un certo punto ha scritto "merito" nella dicitura di un ministero e per tre giorni non abbiamo parlato d'altro, come se nel frattempo qualche meritevole avesse ottenuto qualcosa (no: qualche lobbista sì, ma non è proprio la stessa cosa); questo mi pare fare il suo gioco. 

L'immagine non rappresenta il Presidente, nemmeno metaforicamente

Vorrei solo registrare un appunto su questa cosa storicamente rilevante, il fatto che sia la prima donna a ricoprire il suo incarico, e che questo venga da alcuni considerato la dimostrazione della debolezza della sinistra, che si riempie di parole di uguaglianza ma poi non riesce a praticarla nel concreto, mentre a destra una tizia così senza approfittare di quote rosa si fa un mazzo tanto e grazie ai suoi soli meriti sfonda finalmente un soffitto di cristallo, il glass ceiling, vedo che in questi giorni è tornato di moda questo anglismo, mentre pinkwashing ormai non se lo ricorda più nessuno, così transita la gloria dei modi di dire. Vabbe'.

Premessa: le pari opportunità sono comunque un obiettivo progressista, indipendentemente da chi riesca a realizzarle e a goderne i frutti (il principio è appunto che tutti devono goderne i frutti). Su un ideale asse ideologico, all'estrema destra ci sta la famiglia patriarcale, a sinistra la completa parità e uguaglianza, in mezzo ci siamo tutti noi con tutte le nostre contraddizioni, ma insomma se nel 2022 in Italia persino a destra festeggiano perché c'è una donna al comando, questo è un buon segno per chiunque sia sinceramente progressista; è il segno che almeno su questo fronte l'egemonia è stata conquistata e preservata. Facciamo i nostri complimenti ai nostri connazionali di destra che hanno raggiunto questo obiettivo per primi, ma ricordiamo che l'hanno raggiunto anche (e soprattutto) grazie al lavoro e alla lotta di gente che per lo più era di sinistra. Dopodiché. 


Dopodiché non c'è dubbio che la sinistra italiana non abbia espresso in questi anni tutte le leader che avrebbe dovuto. I motivi sono molteplici: il primo che mi viene in mente è che a sinistra il cursus honorum è oggettivamente più complesso; chi fa politica deve farla per anni, magari a livello amministrativo, ed è faticoso: e quando una carriera è faticosa, per le donne purtroppo lo è di più. Laddove a destra in parlamento per molto tempo alla fine si trattava per lo più di piacere a Berlusconi. (Le donne a sinistra poi dovevano difendersi dal fuoco dei comunicatori berlusconiani: pensate a come hanno trattato a turno Rosy Bindi, Cecile Kyenge, Laura Boldrini). 

Dopodiché, il caso daa Meloni è abbastanza peculiare: non solo non proviene dall'entourage di Berlusconi, ma è anche il primo presidente del consiglio di una maggioranza di centrodestra che comprenda Forza Italia ma che non sia lo stesso Berlusconi. Questo è un dettaglio notevolissimo, se pensiamo a tutti gli aspiranti eredi che negli anni Berlu si è divorato, dai più papabili (Casini, Fini) ai più improbabili (Alfano, Toti, Fitto). Tutti maschi. 

Da cui un sospetto: forse per aa Meloni l'essere donna potrebbe essere stato un inaspettato vantaggio evolutivo, quell'apparente deficit che però ti rende indigesto ai predatori che ti risparmiano. Non solo Berlusconi non vedeva 'naa Meloni una preda interessante, ma non riusciva nemmeno a immaginarla come una minaccia. La lunga strada che l'ha portata a Palazzo Chigi in realtà poi non è che sia stata così lunga – non solo perché la Garbatella non è così periferica come i giornalisti romanocentrici credono, ma perché aa Meloni per molto tempo non ha fatto che restare immobile come il guzzantiano semaforo, mimetizzata nel paesaggio, titolare di un partitino che non doveva fare altro che rappresentare un determinato settore dell'opinione pubblica, senza farsi notare troppo non tanto dagli avversari, quanto dagli alleati che alla fine erano i diretti concorrenti nella lotta fratricida a chi polarizzava la maggior parte dei voti a destra: finché a Berlusconi bollito, Salvini lessato, per esclusione non poteva che toccare a lei. In questo è stata brava? Boh, forse. Qualcun altro avrebbe fatto peggio di lei? Senz'altro. 

Mi spingo più in là: secondo me il fatto che il settore politico più retrivo e patriarcale abbia espresso la prima vera leader di partito e di governo di sesso femminile è tutt'altro che accidentale. Avevano un'immagine tremenda: l'unica speranza era svecchiarla con un personaggio giovane e simpatico e non hanno faticato neanche molto a trovarlo (i vantaggi di avere avuto, ai tempi del MSI, un partito non 'leggero', ma radicato almeno in alcuni territori e provvisto di strutture giovanili, campeggi, qualcosa che richiamasse un minimo di gioventù, qualcosa in cui il PCI era imbattibile finché non l'ha sacrificato sull'altare della leggerezza veltroniana). 


Insomma secondo me alla fine aa Meloni è una che se ha fatto un lavoro nella vita è stato fare la mascotte di una ganga di postfasci; ammettiamo pure che l'abbia fatto con costanza e dedizione, ma secondo me è ancora il mestiere che fa, una che in mezzo a un gruppo di gente bruttissima ci mette il faccino simpatico. Per cui no, non mi pare che l'essere donna l'abbia penalizzata più di tanto, c'è un motivo per cui a fare le ragazze immagine in discoteca chiamano tendenzialmente le ragazze. Non ha tanto a che vedere con le pari opportunità e nemmeno in senso stretto col patriarcato, e non vuole nemmeno essere una critica del personaggio. Di presidenti del consiglio ne abbiamo avuti di tanti tipi, una ex ragazza immagine non è necessariamente la meno adatta al ruolo, è persino possibile che faccia meglio, tiro a caso, di certi ex sindaci di Firenze. 

Così quando tutti si sdilinquiscono per questa cosa del primo presidente donna, a me viene in mente una battuta infelice di Barack Obama – sì, di quel presidente che tutti ricordano per i bellissimi discorsi così motivazionali, a me è rimasta impigliata nella memoria una battuta infelice ai tempi in cui Sarah Palin sembrava la Nuova Grande Promessa Bianca del partito repubblicano, e Obama si lasciò sfuggire che se metti un rossetto a un maiale resta pur sempre un maiale. Ne seguì qualche giorno di polemica, Obama sessista! tra gente che non capiva (e più raramente fingeva di non capire) che Obama non aveva definito la Palin un maiale: l'aveva definita un rossetto. Magari Aa Meloni riuscirà a governare questo paese in un modo decente, visti i tempi quasi me lo auguro. Ma continuo a vedere dietro di lei facce bruttissime, interessi luridi, progetti reazionari: e continuo a vedere in lei un rossetto, la mascotte che cerca di fare la simpatica, e almeno per quanto mi riguarda non ci riesce, non c'è mai riuscita, certo non rientro nel suo target. Ma insomma ditemi come fate a non vedere il maiale. 

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